VITERBO – 24 giugno 2019
I bravissimi attori dei progetti di laboratori teatrali, targati Asl, con Eta Beta e Gli anni in tasca, possono finalmente pensare alle ferie, dopo un tris di performance che ha stupito e conquistato il pubblico. L’ultimo entusiasmante successo venerdì sera, all’Auditorium Santa Maria in gradi, scenario dello spettacolo “Diversamente uguali”, scritto e diretto da Andrea Pietroni, su misura dei partecipanti al laboratorio di animazione integrata realizzato nel progetto dell’Asl di Viterbo, servizio Disabile adulto, diretto dal dottor Marco Marcelli e seguito dalla responsabile, dottoressa Teresa Sebastiani.
In platea il dottor Marcelli, Orlando Meloni, presidente della cooperativa Gli anni in tasca e Sandra Berni, presidente del Consorzio Il cerchio. Meloni, dopo aver ringraziato l’amministrazione comunale, Eta Beta e Asl, per il supporto necessario che dona pillole di serenità ai ragazzi, ha definito questi tre appuntamenti la “Trilogia dell’impossibile” che con bravura e impegno hanno reso possibile, mentre Sandra Berni si è complimentata per il lavoro fatto, progressivo e in rete, che coinvolge operatori, equipe, famiglie ed enti pubblici, tra cui il consorzio Il mosaico, conseguendo un risultato sempre emozionante in grado di far crescere e condividere la diversità.
Le ultime parole, prima di alzare il sipario, del regista Pietroni, che ha ironicamente raccontato questi mesi di laboratorio: “All’inizio ho preteso professionalità, serietà e attenzione – ha provato a dire, mentre scorrevano foto che dicevano esattamente l’opposto – ma non ci sono riuscito! Il sorriso è terapeutico e funziona, e soprattutto ha permesso di far scaturire emozioni”. Quelle che sono alla base di “Diversamente uguali”, una summa di sensazioni quali amore, gioia, ansia, felicità, rabbia e, infine, resilienza, come sunto dell’intera vita.
Tutto questo si sviluppa sul palco in sei diverse scene che tracciano il percorso di una coppia, la più classica, dove lui non ascolta e lei se ne lamenta, mentre mangiano al ristorante un piatto di riso, funghi e cinghiale, involontario filo conduttore della storia stessa. Lei aspetta un bambino e inizia a condividere con la famiglia quello che prova, che è ansia, specie quando viene a sapere che la testa del piccolo è una sorta di chicco di riso. Paure che si confermano alla nascita, la diversità di un bambino che ha una risaia in testa, continuamente tagliata e nascosta in soffitta dalla famiglia stessa, vittima della paura della diversità, a fronte da una felicità da indossare per essere accettati nella società moderna. Provano a presentarlo in paese ma è solo una conferma, la gente usa gli occhi per la parte esteriore, senza usare il cuore per vedere dentro, fermandosi ad un fuori banale e spesso cinico. Lo vedono brutto, lo bullizzano, anche a scuola, ed è il momento del disagio per tutta la famiglia, derisa non solo dai bambini ma dalle mamme.
Ma il piccolo Andrea ha un talento, disegnare, e lo mostra appena si trova davanti una tela, realizzando un ritratto dei genitori stretti e innamorati.
E come ogni favola, più che il lieto fine arriva la morale: Andrea cresce in solitudine, mentre tutti giocano al sole, un sole caldo ed insistente che rende tutto arido e li porta alla carestia, Nessuno ha più cosa mangiare, mentre grazie al “dono” del piccolo un piatto di riso non manca mai, la resilienza che ti fa superare una crisi. E’ lo stesso Andrea a reagire: “Mi voglio vendicare… con il perdono! Chiamate tutti e diamogli il riso che è in soffitta”. Uno dopo l’altro tutti sfilano davanti al ragazzo con il dono del riso e ricevono un sacco, quello che era stato nascosto per la vergogna, e una bella lezione di vita: “Accetta” è la parola dirompente lanciata al pubblico da una ragazza audiolesa, che dopo aver recitato perfettamente con gli altri si rivolge in platea per il messaggio finale, basato sull’accettazione di ogni singolo individuo.
L’emozione ha conquistato l’Auditorium ma anche i protagonisti, come ha dimostrato Barbara, che si avvicina al regista e dedica la serata al papà che non c’è più. Sarebbe stata la stessa dedica che avrebbe fatto lui, Andrea Pietroni, e con la stessa emozione la condivide, immaginandosi questi due papà orgogliosi, su una nuvola ad ammirare lo spettacolo insieme.
Tutti i dialoghi sono stati tradotti in lingua dei segni Lis da una traduttrice presente a bordo del palco, mentre dalla regia sono stati commentati a voce i momenti recitati in lingua Lis sul palco.